
In effetti, riflettendoci, anche definirla italiana non è poi così necessario: nella musica della cantautrice toscana c’è ben poco che ne connoti la provenienza. Canta in inglese, ha un suono oggettivamente internazionale, tant’è che ha ultimato il missaggio dell’album a New York con Lucius Page e Robert LB Dorsey (sì, proprio quello che lavora con Beyoncé e Solange), mica robetta.
“WHOA” (Carosello Records) arriva dopo l’esordio del 2016 con “Born In the Woods”, ed è la conferma dei nostri thumbs up per la prima uscita discografica. È un disco intimo, morbido e dalla personalità definita, cresciuto in questi anni in cui Birthh ha condiviso il palco con artisti del calibro di PJ Harvey o Benjamin Clementine in festival internazionali.
Anche grazie a queste esperienze il suono electro-pop puro e scarno “da cameretta” di Alice si apre a influenze r’n’b, soul e folk. In “WHOA” ci sono una serie di racconti e ricordi che si intrecciano, lievi e intensi, raffinati ma semplici. L’ideale (almeno per me) in questo momento storico, in cui avrei solo voglia di restarmene sdraiata a fissare il soffitto ascoltando bella musica. Invidio molto gli iperattivi anche tra le sbarr… ehm mura domestiche: io non riesco a leggere più di dieci pagine consecutive e riesco a mantenere la concentrazione su una stessa prolifica attività per un massimo di cinque minuti.
Beh, il disco di Birthh mi capisce: non mi sprona a muovermi, non mi costringe a riflettere, non mi vuole insegnare nulla, non vuole risvegliare i miei neuroni storditi dalla quarantena.
Lui sta lì. Se voglio, lo posso ascoltare in superficie, galleggiandoci sopra. Se voglio, posso tuffarmici dentro. È un lago tranquillo, ma che, come tutti i laghi, può rivelare una corrente molto intensa.
Dulcis in fundo, nella prima traccia, Supermarkets (mai traccia, tra l’altro, fu più azzeccata), canta: “People are just people they don’t know what they are after”. C’è forse una frase migliore per descrivere lo spaesamento dell’umanità in questo momento, ma forse anche nel futuro, ma forse anche da sempre?
“21st century, what a time to be alive” (cit. Space Dog).
Giulia Zanichelli

Mi racconto in una frase
Famelica divoratrice di musica e patatine (forse più di patatine), diversamente social e affetta dalla sindrome di “ansia da perdita” (di treno, chiavi di casa, memoria
e affini).
I miei 3 locali preferiti per ascoltare musica
Auditorium Parco della Musica (Roma), Locomotiv Club (Bologna), Circolo Ohibò (Milano).
Il primo disco che ho comprato
“Squérez?” dei Lunapop, a 10 anni. O forse era una cassetta.
Comunque, li ho entrambi.
Il primo disco che avrei voluto comprare
“Rubber Soul” dei Beatles.
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso
Porto avanti con determinazione la lotta per la sopravvivenza della varietà linguistica legata alla pasta fresca
emiliana: NON si chiama tutto “ravioli”, fyi.