Ogni esperienza ha una sua morale da trarre, ecco quella dell’intervista che segue: confrontarsi con la musica contemporanea di luoghi così distanti dal mio quotidiano e dal mio vissuto come l’Africa subsariana mette alla prova i miei preconcetti.
I Kokondo Zaz (qui la loro pagina Facebook) avevano attirato la mia attenzione alcuni mesi fa per alcuni video, in cui si può assistere all’uso di strumenti di riciclo come percussioni ma soprattutto all’uso del flessibile come strumento solista, come l’equivalente di una chitarra! Certo l’impatto visivo aveva giocato la sua parte: immaginate un tubo di metallo sostenuto da due cavalletti e suonato con una sega circolare che emette scintille ad ogni contatto con lo “strumento”. Immaginatevi il tutto eseguito senza la benché minima protezione da parte dell’esecutore, e con una posa che mi ricorda la virilità di certo rock duro della nostra tradizione europea.
E fu amore a prima vista
Insomma ce n’era abbastanza per farsi venire voglia di contattare i responsabili di questo spettacolo, che a me ha ricordato anche certa musica industriale “analogica” come gli Einstruzende Neubauten degli inizi. Ma le mie categorie, peraltro vecchie e ammuffite, hanno senso per capire cosa vogliono dirci 8 artisti da Ouagadougou?
I Kokondo Zaz esistono dal 2010 e sono stati formati da Sahab Koanda “Sono uno scultore Burkinabé che utilizza materiali di riciclo per le proprie opere, e ho deciso di contattare 7 amici, tutti percussionisti professionisti di musica africana, per un progetto che riprende in parte il mio discorso artistico”.
Al Centro Culturale Francese
È quindi Sahab il solista del flessibile, il suo studio è la sala prove e il suo circuito espositivo è diventato quello dove proporre la loro musica, che è unica nel suo genere “Abbiamo suonato all’inizio al Centro Culturale francese, dove ho esposto le mie opere, ma poi abbiamo sempre suonato in posti diversi da quelli dove agisco come scultore. Abbiamo anche suonato in Francia. Siamo gli unici a fare questa musica in Burkina Faso, non esiste una scena né siamo gli inventori di un genere”.
In Francia, a Lione
Io insomma avevo sognato l’esistenza di un circuito e di una scena industriale africana ma temo di essermi fatto trascinare dalla fantasia, però non domo ho provato a capire se per i Kokondo Zaz la loro proposta fosse rivoluzione o tradizione rivista “i pezzi nascono dalla musica tradizionale, sono gli stessi che 7 di noi suonano come musicisti tradizionali, ma con Sahab usiamo materiali diversi, di riciclo, e lavoriamo durante le prove per aggiornali, perciò si tratta per noi di musica tradizionale e contemporanea allo stesso tempo”.
Festival del Sahel
Quindi nessuna rivoluzione estetica, un grosso lavoro sul sound, nessun senso tragico ma tanto senso pratico. Se vogliamo trovare della denuncia nella musica dei nostri forse è meglio vederlo nel portato ecologico della loro prposta? “In Africa la spazzatura è fonte di riciclo, nel quotidiano e anche per la mia arte – ci dice di nuovo Sahab – quindi per noi usare la spazzatura e i materiali di riciclo si inserisce in una tradizione ecologica locale”.
[Best_Wordpress_Gallery id=”6″ gal_title=”kokondo-zaz”]
Quindi niente polarità rock emergenti dal continente nero, niente ripudio della tradizione, niente urla di dolore contro il consumismo, niente scontro generazionale. I Kokondo Zaz guardano il mondo che li circonda a mente lucida ma con ambizione e determinazione, lo stesso atteggiamento che usa Sahab per produrre suoni con attrezzi da officina.
Che dire? sono partito con una serie di aspettative che sono state tutte frustrate, ma il bello del viaggio è questo, non è vero?
Alessandro Scotti

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.