Se in America esistesse qualcosa come il festival di Sanremo, i Drive By Truckers sarebbero dei partecipanti assidui, e spesso secondi: la loro “american music” è infatti ben attenta a restare nel solco della tradizione, anche se prova a farla sua con piccoli accorgimenti, innovazioni e idiosincrasie. La loro firma? Gli autori di “American band” propongono un country rock etnicamente puro, quasi del tutto a digiuno della musica nera, ma lo anabolizzano con un chitarrismo elettrico che ci porta dalle parti del Neil Young più arrabbiato, o se volete degli Husker Du più maturi.
L’iniziale “Ramon Casiano” è già su queste coordinate, ma riecheggia anche di southern rock e sixties pop rivisitato (a me ha fatto venire in mente i Died Pretty). La chitarra resta legnosa seppur spumeggiante anche nella successiva “Darkened Flags on the Cusp of Dawn”, che però ha una melodia smaccatamente english folk, mentre “Surrender Under Protest” è una ballata che cita un po’ l’indie rock glorioso degli anni 90 e un po’ l’hard rock che in parte lo ispirò, con eco epiche ma senza spargimento di sangue. Le prove smaccatamente FM non mancano di certo: “Guns of Umpqua” strizza l’occhio a Bon Jovi e Sting, salvandosi grazie al timbro grattugiato della 6 corde, “Filthy and Fried” tributa Springsteen, “What It Means” ha un riff così paradigmatico da risultare irriconoscibile da mille altri casi analoghi, ma almeno la batteria, indecisa tra una train song e un ritmo hillibilly rallentato, lascia il beneficio del dubbio che ci piace.
La carta della ballata languida non può mancare, ovviamente, e se la giocano “Sun Don’t Shine”, con refrain di tastiera che sembra più pensato per la chitarra, solo pochi accordi ad accentare la melodia e voce al limite del falsetto, nonché “Once They Banned Imagine”, più ombrosa, piena di chiari scuri e cantata con tono da crooner.
“Kinky Hypocrite” mette invece in scena un boogie alla Rolling Stones ma con una drammatica mancanza di groove, come una bici con la catena arruginita che fa rumore mentre pedali, ma la chitarra scassona c’è sempre e rende il tutto più umano. Anche “Baggage” prova a mischiare blues ed elettricità, grazie a un riff vagamente hendrixiano che accompagna un cantato rilassato e folk, con effetto finale da yuppie blues: lo struggimento del maschio bianco di successo medio borghese e senza eccessi. “Ever South” è infine vagamente soulful, più circolare, miagolata e femminile del resto del disco, finendo per fare la parte della mosca bianca della raccolta.
I Drive By Truckers sono onesti rocker fedeli alla linea, non vi sorprenderanno ma non vi deluderanno, e sono sicuramente bravi ragazzi da sposare.
Alessandro Scotti

Mi racconto in una frase:
Gran rallentatore di eventi, musicalmente onnivoro, ma con un debole per l’orchestra del maestro Mario Canello.
I miei tre locali preferiti per ascoltare musica:
Cox 18 (Milano), Hana-Bi (Marina di Ravenna), Bloom (Mezzago, MB)
Il primo disco che ho comprato:
Guns’n’Roses – Lies
Il primo disco che avrei voluto comprare:
Sonic Youth – Daydream Nation
Una cosa di me che penso sia inutile che voi sappiate ma ve la racconto lo stesso:
Ho scritto la mia prima recensione nel 1994 con una macchina da scrivere. Il disco era “Monster” dei Rem. Non l’ha mai letta nessuno.